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Putin, piano per l’utilizzo di testate nucleari in Siria

I recenti attentati avvenuti in Francia lo scorso venerdì hanno scosso il mondo intero e mostrato in maniera inequivocabile il volto dello Stato Islamico.

L’Isis, evoluzione storica dei gruppi terroristici jihadisti e qaedisti, vanta un’organizzazione di alto profilo e una capacità di infiltrazione che il flusso di migranti di quest’anno può avere favorito, almeno in alcuni casi, ma che non sembra rappresentare il fattore decisivo. Ora tutti attendono la risposta della comunità internazionale, ma il presidente Francois Hollande si è mostrato deciso fin da subito nel voler controbattere in modo spietato, violento, se necessario. In quest’ottica si collocano i raid di questa notte su Raqqa, riconosciuta roccaforte dei miliziani del Califfato, che finora, forse, non era stata presa colpita in modo così diretto e corposo perché, per quanto i resoconti del bombardamento parlino di soli obiettivi militari colpiti, Raqqa è una città a tutti gli effetti, infrastrutture e strutture civili comprese, perciò, in caso di attacco militare, il rischio di estendere danneggiamenti e numero di vittime anche laddove non sarebbe necessario resta elevatissimo.

E’ probabile però che le azioni francesi (portate a compimento con la decisiva collaborazione degli USA) rappresentino solo il primo gradino di una escalation di violenza che potrebbe avere conseguenze non controllabili. Ad avere il peso maggiore, in questo momento, sono senza alcun dubbio il presidente americano Barack Obama e il leader russo Vladimir Putin. Se il primo, anche nel corso del discorso tenuto al G20 ad Antalya, ha voluto comunque dimostrare prudenza, oltre che fermezza, il secondo è l’uomo che, in qualche modo, in Siria ha preso le posizioni più decise, incrementando in modo molto significativo l’impegno militare del proprio paese nella lotta all’Isis e alle fazioni ribelli che si oppongono all’ex presidente Bashar Al Assad. Quest’ultimo ricopre un ruolo fondamentale, perché i russi lo considerano l’uomo su cui puntare per far cessare le ostilità e riportare all’ordine la Siria, mentre gli USA e alcuni paesi europei (la Francia è uno di questi) lo considerano pericoloso quasi quanto lo stesso Stato Islamico.

L’azione russa in Siria si è finora concentrata sull’indebolimento delle fazioni anti Assad, migliorando di riflesso l’efficacia delle ex truppe governative nella lotta all’Isis. L’azione americana – europea, invece, ha avuto come obiettivo diretto le milizie del Califfato, ma si è anche concretizzata, in alcuni casi, nel supporto militare (anche in termini di carichi di armi, pare) dato ai ribelli anti Assad. Senza considerare l’impegno e la frequenza messi in campo dalle due parti, risulta chiaro che le strategie non possono convivere ancora a lungo, perché rischiano di trasformarsi in uno stallo o in un aumento di caos dal quale solo lo Stato Islamico potrebbe trarre giovamento.

Una svolta potrebbe essere arrivata nelle ultime ore, se sarà confermata la notizia, diffusa da alcuni media, che il leader russo Vladimir Putin avrebbe dato ordine di attuare un piano militare che prevedrebbe di armare delle testate nucleari da utilizzare in Siria e Iraq. L’obiettivo dovrebbe essere quello di radere al suolo tutti i campi di addestramento dell’Isis, mettendo in ginocchio l’organizzazione militare stessa dello Stato Islamico, che si ritroverebbe privo di risorse per affrontare una guerra di medio o lungo termine. E’ chiaro che l’utilizzo di missili nucleari, se confermato, rappresenterebbe una soluzione estrema, il cui unico precedente risale alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando di questo genere di armi erano in possesso i soli USA, che poterono mostrare con relativa tranquillità la loro superiorità militare. Oggi, la situazione sarebbe molto diversa, perché le conseguenze dell’utilizzo di testate atomiche non sarebbero prevedibili, né in termini di cosa potrebbe scatenarsi a livello di equilibri mondiali, né in termini di quale potrebbe essere la risposta da parte di un’organizzazione, come quella dello Stato Islamico, che ha dato chiara dimostrazione di considerare il terrorismo come un’arma di guerra lecita.

 

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